| Inventori | Man Ray, Rayografia, 1922. Cristan Schad, Schadografia, 1919. 1843, Anna Atkins, libro illustrato con fotogrammi di alghe. |
|---|---|
| Periodo storico di massima diffusione | 1839-1855 |
| Strumenti impiegati | materiale fotosensibile, materiale di sviluppo, luce |
| Procedure impiegate | Fotografia senza fotocamera |

Tecnica
Il materiale fotosensibile viene esposto alla luce mentre gli oggetti che diventeranno i soggetti della foto vengono esposti sopra di esso. È possibile manipolare le ombre in modo creativo spostando la fonte luminosa e sperimentando con fonti di luce inusuali come schermi televisivi o display di computer. Solitamente l’esposizione avviene all’interno, ma sfruttando la cianografia è possible avere lunghi tempi di esposizione all’esterno.
Variazioni di questa tecnica sono utilizzate per scopi scientifici, come nel caso dello studio dei flussi di un fluido attraverso la fotografia Schlieren e l’Ombrografia e per scopi medici come nell’uso dei Raggi X.
Procedimento
- Preparazione dell’ambiente: camera oscura per lo sviluppo con un ingranditore
- Preparazione della carta per farla diventare fotosensibile
- Inserimento dei soggetti fotografici seguendo il seguente schema:

- Controllo del tempo di esposizione
- Sviluppo, lavaggio e asciugatura della carta
Man Ray descrive il caso fortuito che l’ha portato a sperimentare con la rayografia nella sua autobiografia del 1963:
“Di nuovo la sera sviluppai le ultime lastre che avevo esposto; la sera successiva mi misi al lavoro per stamparle. A parte i vassoi e le soluzioni chimiche in bottiglia, un graduato di vetro e un termometro, una scatola di carta fotografica, la mia attrezzatura di laboratorio era nulla. Fortunatamente, dovevo realizzare solo stampe a contatto dalle lastre. Mi bastava appoggiare un negativo di vetro su un foglio di carta fotosensibile sul tavolo, alla luce della mia piccola lanterna rossa, accendere la lampadina che pendeva dal soffitto, per qualche secondo, e sviluppare le stampe. Fu durante la realizzazione di queste stampe che mi venne in mente il mio processo Rayograph, o fotografie senza macchina fotografica. Un foglio di carta fotografica finì nella vaschetta di sviluppo - un foglio non esposto che era stato mescolato con quelli già esposti sotto i negativi - facevo prima le mie diverse esposizioni, sviluppandole insieme in seguito - e mentre aspettavo invano un paio di minuti che apparisse un’immagine, rimpiangendo la carta sprecata, misi meccanicamente un piccolo imbuto di vetro, il graduato e il termometro nella vaschetta sulla carta bagnata, accesi la luce: davanti ai miei occhi cominciò a formarsi un’immagine, non proprio una semplice silhouette degli oggetti come in una fotografia diretta, ma distorta e rifratta dal vetro più o meno a contatto con la carta e che si stagliava su uno sfondo nero, la parte direttamente esposta alla luce. Ricordo che da ragazzo avevo messo delle foglie di felce in un telaio da stampa con carta da stampa, esponendolo alla luce del sole e ottenendo un negativo bianco delle foglie. Si trattava della stessa idea, ma con una qualità tridimensionale e una gradazione tonale in più”.