Nonostante un inizio della sua storia notevolmente in salita, col tempo, anche la fotografia riesce a prendere il suo spazio, a ritagliarsi un piccolo campo di azione sul palcoscenico culturale dell’Ottocento.

Se, infatti durante i primi decenni del secolo, come auspicato dallo stesso Charles Baudelaire dopo l’invenzione del Dagherrotipo, la fotografia dovesse necessariamente avere un ruolo marginale rispetto alla pittura e rivestire la caricatura di una fedele e umile ancella, questo ruolo marginale viene meno a metà de secolo.

Vignietta satirica di Daumier sul Salone del 1859

Il 1859, in particolare, fu un anno notevolmente importante per la redenzione della fotografia: in questo anno periodizzante, infatti, essa venne ammessa come “forma d’arte” al salon parigino, la più importante mostra nazionale della pittura, grazie ad indubbi vantaggi. Infatti, secondo alcuni storici dell’arte, tale data segna un fondamentale spartiacque tra il passato e il futuro, caratterizzato dalla presa di posizione di molti artisti e dell’arte stessa che vedono la fotografia come un’arte libera e non schiava, legittimata della sua importanza.

Per tale motivo, incentivati dall’affermazione della nuova arte, molti pittori scelsero di virare la propria esperienza artistica e, forse per un talento non così tanto marcato o per cavalcare l’onda dell’innovazione, scelsero di concentrarsi a tempo pieno nella vita di fotografi. In questo modo i loro studi si trasformano: le tele, i colori, i cavalletti, i pennelli vengono sostituiti da supporti dove porre le macchine fotografiche o l’intero studio viene trasformato in un’enorme camera dove sviluppare immagini e fotografie inedite da condividere con un pubblico sempre più vasto.